Acri, Padia: la storia della famiglia Civitate e la tragedia dei 3 giovanetti.
Posta a 720 m slm, alle porte della Sila la città di Acri sorge su 3 colli; uno è l’antico borgo di Padia, ed è qui che nel 1400 si stabilì una nobile famiglia proveniente da San Marco Argentano, la famiglia dei baroni Civitate.
Nell’antica piazzetta dove nel 1462 gli Aragonesi trucidarono l’eroe acrese Niccolò Clancioffo, la famiglia Civitate abitava un antico palazzo di loro proprietà.
In questa dimora nel 1709 Don Giuseppe Civitate, condusse la sua giovane consorte acrese Rosanna Le Pera, che in quell’anno aveva sposato. Dalla loro unione, la nobile famiglia, si arricchì di quattro figli: Nicola Maria, Pietr’Antonio, Pietro Paolo e Livia.
La vita di palazzo scorreva serena per Don Giuseppe e Donna Rosanna ignari della disgrazia che di li a breve si sarebbe consumata. I Civitate erano ricchi latifondisti, nelle loro terre lavoravano numerosi coloni assoggettati al controllo del guardiano capocolono Nicola Renni. Lo stesso, era molto stimato dal barone Civitate e sapendosi di fiducia del padrone, e non essendoci più nessuno a controllarlo, spadroneggiava da vero “padrone” sugli averi, sui raccolti e manometteva tutta la resa delle terre, aiutato, nei suoi malaffari, da altri coloni tra cui i fratelli Domenico e Isidoro Palazzo. Quando Don Giuseppe scoprì le trame del suo fidato, lo convocò per ammonirlo, ne scaturì una lite con pugni e minacce, durante la quale il capocolono venne esonerato dal titolo e giurò vendetta. In difesa di Nicola Renni si costituì un gruppo di coloni, tra cui i Palazzo, che tradirono il barone e in suo sfregio organizzarono la vendetta. Un bel dì il gruppo di briganti riuscì a introdursi con l’astuzia in palazzo e rapì i figlioli del barone, nulla fermò il folle gesto, nemmeno le urla e le offerte di Donna Rosanna.
Nicola Maria, Pietr’Antonio e Pietro Paolo furono condotti dai briganti nei boschi della Sila, il barone offrì ingenti somme di denaro e di beni per ottenerne la liberazione ma senza successo…il preludio della tragedia stava per iniziare!
Pietro Paolo venne ucciso, nel mentre il barone aveva mandato i suoi uomini alla ricerca degli aguzzini i quali, paurosi della cattura dopo la morte del primo presero a seviziare e torturare gli altri 2 giovanetti prima di darsi alla fuga.
Già perseguitata la feroce comitiva riuscì a fuggire da Acri, trovando salvezza nel Regno Pontificio presso Roma. I due fratelli Civitate superstiti, liberati da Nicola Renni prima della fuga, agli estremi delle forze aggiunsero casa, dove , il misero padre nel vedere la sanguinosa distruzione della sua nobile famiglia ne morì di dolore.
La loro madre, la baronessa Rosanna, donna di forte carattere e piena di ingegno, resistette al dolore e giurò vendetta sugli assassini dei suoi tre figli, vendette tre feudi, averi e ricchezze e chiese a tutti i costi che i tre assassini venissero catturati vivi perché voleva assistere alla loro fine. Dopo mesi di ricerche, furono catturati e vennero condotti nel Regno per essere giudicati. La Regia Udienza (il Tribunale di allora) di Cosenza li condannò a morte e la condanna, così come richiesta dalla baronessa Rosanna Le Pera, fu eseguita ad Acri.
Nella piazzetta vecchia di Padia, innanzi il palazzo dei baroni Civitate, fu allestito il patibolo e mentre i 3 assassini perirono con il cappio al collo la baronessa sorrideva e gioiva perché la sua vendetta era stata compiuta.
Per suo volere i briganti furono decapitati e il loro capo fu posto in ciascuna delle tre gabbie dette “caggiarole”, poste sotto le gronde di palazzo Civitate.
Il popolo acrese ricorda il triste avvenimento ed i nomi dei tre briganti in suo canto popolare, che suona così:
“Persi la fami sua Nicola Renni,
Duminicu Palazzu ccu’ Sidoru;
cà ‘na Signura ccu’ modi e ccu’ ‘ngegnu
fici mintar’ i capu ‘ncaggiarola…”
Fonte: Montalto Cosimo D.”La famiglia dei Baroni Civitate di Acri e la tragedia dei tre giovinetti” – Ed.Grafhisud, 1997
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